Praga | Cross Club – ovvero un futuro passato
“Come sarebbe stato il passato se il futuro fosse arrivato prima?”
Se lo domandano gli autori di quel ramo recente, ma incredibilmente fantasioso, della fantascienza che è lo steampunk. Ma te lo domandi anche tu quando, con qualche fermata di un tram che scorre lento a lato di una Moldava illuminata da lampioni ottocenteschi, ti allontani dal cuore di quella che è senza l’ombra di qualsiasi dubbio una delle città più affascinanti d’Europa – ma solo perchè il mondo intero non l’abbiamo ancora visto – per raggiungere il Cross Club. In piena zona industriale, tra ecomostri, enormi strade vuote e cartelloni pubblicitari in una lingua ceca che un po’ sembra il risultato di una partita a Scarabeo finita male, questa creatura ibrida ed inusuale non aspetta altro che essere addomesticata.
Il primo incontro con il Cross Club – un nome non casuale, se ci si rende pienamente conto di come in 15 anni questo locale sia diventato il punto d’incontro incontestato delle sottoculture alternative della Repubblica Ceca e attiri generi musicali, progetti ed artisti da ogni angolo del Vecchio Continente – è quello decisivo. Come con quella persona dalla personalità eccentrica che puoi odiare o adorare, ma mai ignorare, anche questo locale ha un’identità propria che indossa fieramente e che si percepisce al primo sguardo. Ricordando per certi versi il famosissimo Szimpla Kert di Budapest, il ruin pub che detta tendenza da anni nella capitale ungherese, dal momento della sua fondazione nel 2002 da parte di un eclettico gruppo di amici capitanati dall’artista František “Sádra” Chmelík il Cross Club si mostra infatti come un essere vivente, meticcio ed indomito – se vogliamo, un Frankenstein dall’esoscheletro di metallo battuto e materiali di scarto. In questo paradiso dello steampunk, decorato disordinatamente con tubi, neon, ingranaggi e scarti di chissà quale macchinario d’epoca, si entra stando attenti alla testa: non si sa mai quale diavoleria potrebbe starvi tendendo un agguato dietro l’angolo.
L’interno è un dedalo di sale, un labirinto di cartelli che indicano qui il bar – rifornitissimo di birre a poco prezzo (l’est Europa che ci piace) così come di ogni versione di una bevanda alcolica che possa venirvi in mente – lì la discoteca; qui il terrazzo, lì la sala proiezioni; qui un palco su cui si esibiscono più volte alla settimana i nomi più promettenti del panorama alternativo dell’Europa Orientale…lì un altro. La “drammaturgia musicale” (come viene artisticamente definita dai fondatori stessi) del Cross Club si basa fortemente sulla contaminazione di generi: non aspettatevi certo di sentire casualmente le note di Despacito, avventurandovi in questo labirinto. Se a farla da padrona è inevitabilmente la musica elettronica – con una techno che riempie le sale e fa danzare ritmicamente neon e tubi fluorescenti sparsi tra i soffitti e le pareti delle sale – non è difficile imbattersi in una serata jungle, ska, dubstep, hardcore, hip hop, punk…
In questa versione ceca del Castello Errante di Howl – il cui aspetto non rimane mai uguale a sè stesso, subendo la vena creativa dei suoi abitanti ed arricchendosi con il tempo di nuovi orpelli e meccanismi buffi – non si viene, però, soltanto per spaccarsi di alcool e dimenticare la propria identità sotto cassa. Cross è infatti, innanzitutto, un progetto culturale: al 23 di Plynàrni, infatti, sono di casa giovani compagnie teatrali, autori in cerca di un pubblico che ascolti le storie che hanno da raccontare e viaggiatori chiacchieroni di passaggio. Quando non sono troppo impegnate ad ospitare eventi ad alto contenuto di decibel, le stanze si colmano di spettatori per le proiezioni di film alternativi contemporanei, documentari su questioni di attualità e – cosa forse inaspettata da un locale decorato ampiamente con oggetti contundenti e di scale da cui è facile inciampare se non hai ancora un grande controllo dei tuoi movimenti – spettacoli teatrali pomeridiani per bambini e ragazzi.
Un’altra citazione molto cara all’universo steampunk è quella attribuita ad Edgar Allan Poe: “Non c’è squisita bellezza senza una buona dose di stranezza“. Risucchiati in un mondo di ingranaggi, strani meccanismi, ferro batutto e bassi pesanti, non si può che pensare, almeno per un attimo, che quel vecchio, pazzo scrittore statunitense avesse ragione.