Victoria, di Sebastian Schipper (e non ve lo fanno vedere)
In un mondo ideale, quando al cinema esce un film come Victoria del tedesco Sebastian Schipper, le sale di proiezione dovrebbero fare a gara per mostrarlo al pubblico, i critici dovrebbero stracciarsi le vesti gridando al miracolo, e la diffusione di questa opera dovrebbe essere massima, capillare. E invece. E invece il film arriva in Italia con quasi due anni di ritardo, nel silenzio più assoluto, mostrato in una manciata sparuta di sale in tutta Italia (a Milano, da sempre molto attento al cinema d’autore, lo troviamo in UNA sala).
Si tratta di un crimine indiscriminato contro l’umanità, che rimarrà, peraltro, impunito. Eppure Victoria è davvero un film clamoroso, che riesce nell’intento quasi eroico di coniugare alla perfezione un’idea autorale complessa con un ritmo ed una fruibilità ottimi. Cioè un prodotto da intenditori, che chiunque può vedere ed apprezzare. Si tratta infatti di un unico pianosequenza che dura oltre due ore, senza mai interruzioni né stacchi di camera. Queste scommesse cinematografiche non sono nuove (il primo fu Hitchcock, con Nodo alla Gola, frutto di peripezie gravate da difficoltà tecniche – la pellicola finiva!), ma si sono sempre dimostrati eccessivamente leziosi o macchinosi, solo per intenditori del settore (penso al sontuoso Arca Russa, o alla prima stagione di True Detective), dove lo sfoggio di tecnica andava a discapito della godibilità del film stesso.
Sebastian Schipper (assistente di Tykwer in Lola Corre) decide di sfatare questo assioma, anche grazie alle peripezie incredibili dell’operatore di camera Sturla Brandth Grǿvlen, vero eroe del cinema mondiale. Victoria è un film che non viene gravato dalla tecnica, ma da questa viene esaltato. La storia è apparentemente semplice, con una prima parte di scoperta, quasi di formazione, di una giovane spagnola a Berlino, che vira improvvisamente in una seconda parte che assume i contorni di uno sgangherato ed improvvisato gangster movie. Verso un finale dove ovviamente tutto va male. Il regista ci porta lì, al fianco di Victoria (la giovane Laia Costa), alla scoperta del mondo. Siamo perfettamente partecipi, membri del gruppo che beve sul tetto, ci innamoriamo di Victoria che suono, come succede a Sonne (Fredrick Lau), seguiamo la fuga in macchina come membri della banda. Il pianosequenza, con una camera a mano, non esattamente steady, permette un’immersione totale. E al tempo stesso non grava su un film che alterna momenti di grande lirismo (la scena col piano o la meravigliosa parte nella discoteca), a momenti di ritmo sostenuto e frenetico. Un mix che a tratti ricorda il troppo spesso sottovalutato Fuori Orario di Martin Scorsese. Gli attori sono tutti notevoli: non si può sbagliare e quando sbagliano (l’occhio attento lo vedo), sono perfetti ad improvvisare il momento, la battuta, mentre l’operatore li segue incessantemente. Senza tregua.
Una occasione splendida, realizzata alla perfezione. Eppure nessuno ve la farà vedere.
Voto: 8/9