Mentre morivo | William Faulkner in viaggio con il morto
«Jewel,» dico «lo sai che Addie Bundren sta per morire? Che Addie Bundren sta per morire?»
Il postmoderno le patatine fritte Rossella O’Hara i Simpson la Beat Generation e non hai letto Faulkner? L’autostop i flussi di coscienza la zuppa Campbell la lavanderia a gettoni la stanza di sicurezza e non hai letto Faulkner? Twin Peaks le luci al neon le riserve indiane la notte degli Oscar la guerra del Vietnam i telefoni di plastica rosa sul comodino e non hai letto Faulkner? Foster Wallace Delillo Steinbeck Roth King Whitman Easton Ellis Hemingway Fitzgerald Kerouac Capote McCarthy tutti gli altri e non hai letto Faulkner? Esattamente.
Faulkner (all’anagrafe sarebbe Falkner, la u è un refuso editoriale) secondo me era uno che si incazzava spesso e quando ci penso mi mette a disagio. L’urlo e il furore non ancora, parto in sordina di nascosto, Mentre morivo, il titolo è decisamente nelle mie corde e la brossura sempre morbidissima è color mais seccato al sole giallo tendente all’ocra davanti c’è una foto in bianco e nero con al centro tre contadini che così a naso direi provengano da qualche posto lontanissimo da me che immagino sia in un sud assolato e deserto nel quale è vivamente consigliato portarsi nello zaino una borraccia d’acqua minerale e una di antitossina per i morsi di vipera stando attento a non confonderle quando hai sete, ad esempio il Mississippi, il solito dei 3-4 nomi come non so l’Alabama o l’Arkansas che tiro fuori ad hoc in queste situazioni tanto per me che sento a malapena lo zzzzzzz delle zanzare umide del Po mica c’è differenza, sudaticci di quel sudore misto a polvere secca caldissima che sicuramente hanno anche negli occhi su un carretto in una strada sterrata. Il carretto è in movimento uno dei tre quello con la camicia bianca si volta e vedo che mi guarda fisso e forse mi mette a disagio più di Faulkner ma apro il libro e passa la paura.
Comincio, arrivo a pagina 16 e lo sconforto totale MA CHE COS’E’ MA E’ UN LIBRO MA IO MI FIDAVO MA DAVVERO MA SIAMO SICURI MA DOVE HO SBAGLIATO poi penso a quando ho letto che Faulkner questo agglomerato di flussi di coscienza che non sto ancora capendo dove mi vuole portare l’ha sparato di getto senza cancellarne una parola in 6 settimane nell’estate del nefasto ’29 quando lavorava come fuochista alla centrale elettrica dell’Università di Oxford nel Mississippi (appunto) tra la mezzanotte e le quattro del mattino usando come scrittoio una carriola capovolta e mi dico: qui c’è del genio. Mi impongo di continuare senza voltarmi indietro tra le pagine, non rileggo neanche una frase, sento che ora della fine sarà tutto limpidissimo. Ho fatto bene.
Per leggere Faulkner ti devi ambientare, è solo una questione di abitudine, è come avere tante voci nella testa.
Una cosa l’avevo indovinata: siamo nella contea di Yoknapatawpha, immaginata da Faulkner nella regione del Mississippi e ciò che ho letto è un coro a più voci che vuole testimoniare la propria caldissima discesa agli inferi. Un’Odissea di polvere e lacrime sotto il sole cocente del sud americano.
Il romanzo si apre così, SBAM! come una porta in faccia: il figlio maggiore, Cash, costruisce una robusta bara di legno davanti agli occhi della madre morente. Si sente subito il brividino da Southern Gothic, da Grottesco Americano, una rilettura realistica del Sud degli Stati Uniti dove i personaggi sono strambi e selvaggi e le loro storie sono drammatiche e violente.
Ciò che segue sono altri 58 capitoli che danno voce, uno alla volta per alzata di mano, ai 6 membri della famiglia Bundren (più altri personaggi legati alla famiglia, gossippari inclusi, per un totale di 15 voci), raccontando dal loro personalissimo punto di vista come vivono l’allontanamento dalla madre/moglie/amante/amica/conoscente in flussi di coscienza sopraffini.
Siamo presto introdotti in un lungo corteo funebre fino alla città natale di Addie Bundren, Jefferson, con carro-cavallo-bara-famiglia-pioggia-ponti che cadono-ferite-incendi e durante il quale ogni voce è testimone del proprio passato tragico e dei propri fantasmi passati e presenti, nodi di una matassa che piano piano si sciolgono dolorosamente e non senza mietere vittime all’interno del loro nucleo per nulla confortevole.
Mi ricordo quando ero giovane credevo che la morte fosse un fenomeno del corpo; ora so che è soltanto una funzione della mente – della mente, dico, di chi subisce il lutto. I nichilisti dicono che è la fine; i fondamentalisti, il principio; mentre in realtà non è altro che un affittuario o una famiglia che se ne va da un appartamento o da una città.
La coralità del libro è tanto sconfortante quanto devastante.
Faulkner non ha una forma precisa, è indefinito, e ci costringe ad un salto dal basso all’alto, dal quotidiano al sopraffino, dal materiale al sensoriale.
Semplice trama e complessa struttura narrativa nella quale il lettore rimane imprigionato. Siamo investiti dai pensieri dei personaggi, dai loro più o meno meschini obiettivi e dalle loro paure con la stessa forza con cui il fiume spazza via il ponte che permetterebbe ai Bundren di raggiungere la capitale di Jefferson prima che il cadavere di Addie attiri uno stormo di avvoltoi affamati.
«Non è in equilibrio per un viaggio lungo.» dice Cash.
I Bundren sono rozzi, bifolchi, divorati dalla fame ma i loro pensieri sono raffinati: i pensieri del padre Anse drammaticamente testardo e rassegnato, della madre Addie morente che sa tutto del dolore e dell’impotenza delle parole nel loro tentativo di riempire i vuoti, del primogenito Cash poetico e dolorante falegname, del reduce di guerra disadattato Darl, folle in modo privilegiato e dallo sguardo che fa parlare la gente, del vendicativo frutto di un adulterio Jewel, della figlia femmina Dewey Dell che cerca di nascondere una dolorosa gravidanza, del bambino Vardaman ancora per poco l’innocente che assiste all’orrore.
Lettura amarissima ma consigliata, con un po’ di impegno.
Ciò che nel caos fa male-male è un tradimento che è un viaggio in treno a Jackson perché Mio fratello è andato fuori di cervello e è anche andato a Jackson. Si è più lontani a essere a Jackson che a essere fuori di cervello.
AUTORE | William Faulkner
CASA EDITRICE | Adelphi
ANNO | 2000 (1930)
PAGINE | 231