La La Land, di Damien Chazelle
Sarebbe necessario, per quanto riguarda il cinema americano, creare un genere autonomo: il genere “Film per Oscar”, cioè film creati e girati appositamente per i premi Oscar. Fanno parte di questi i biopic di grandi presidenti, di schiavi di colore liberati e anche La La Land dovrebbe rientrarvi a pieno titolo. Perché si tratta di un film furbo, abilmente costruito per piacere a tutti (critica e pubblico) e magistralmente diretto da Damien Chazelle. Quindi, pioggia di candidature agli Academy 2017. Come da copione. Sebbene, però, alcune di queste (14!) candidature siano giustificate, altre appaiono assolutamente prive del ben che minimo fondamento (caratteristica tipica del genere “Film per Oscar”).
L’idea del regista di riportare in auge il genere musical, contestualizzandolo al giorno d’oggi è lodevole. Chazelle sicuramente ha dimostrato di capirne assai di musica e costruisce un classico musical anni ’50 ambientato nella Los Angeles moderna. La regia è il pezzo forte del film. Chazelle è capace di alternare la ritmatissima regia (e montaggio) che avevamo conosciuto in Whiplash, con sezioni più morbide, infiniti piani-sequenza che seguono le note delle canzoni alla perfezioni, gigioneggiando anche in inquadrature “impossibili” (grazie post produzione! Grazie green screen!). Nonostante la bellezza formale indiscussa, soprattutto nella prima metà del film, si ha l’impressione che queste sequenze siano più uno sfoggio di bravura, che una parte fondante del film e della storia, al contrario di Whiplash. Il citazionismo, poi, è volutamente ridondante ed esuberante, capace di spaziare dai classici Singin’ in the rain e West Side Story, fino ai più moderni Grease e Moulin Rouge. In questo senso, la sequenza finale è una splendida carrellata di citazioni di vecchi musical, bellissima e (finalmente) non stucchevole. Proprio qui risiede tutto il senso del film, una storia d’amore vissuta in un mondo che non esiste, popolato di musica del passato interpretata dalle lenti distorte dei protagonisti: La La Land, appunto.
Il film, inoltre, ricorda una grande verità sul cinema tutto: Hollywood può far fare qualunque cosa a chiunque (cit., una che di musica ne capisce). Solo così si spiega la scelta di Ryan Gosling come protagonista maschile. A parte l’evidente difficoltà ad insegnarli a suonare due note, la sua passione per il jazz risulta completamente irreale e a tratti quasi ridicola. Lui, perennemente con il sorriso da autoscontri di Rozzano (che non a caso i più informati chiamano Rozzangeles) e la canotta bianca da tamarro sotto la camicia, non ha il fisico e neppure l’espressione dell’amante del jazz. Sembra sempre stare per tirare fuori il tirapugni dalla tasca ed andare a fare rissa in un parcheggio (tipica attitudine del jazzista). Come se non bastasse, canta anche decisamente male (diciamo ai livelli di Russell Crowe/Javert in Les Misérables), mentre al contrario Emma Stone se la cava parecchio bene, sia nel canto che nella recitazione, perfettamente adatta al ruolo dell’attricetta alle prime armi e bravissima anche a fingere di recitare male. Entrambi ballano da principianti, ma questo rientra in pieno nell’idea del film: i protagonisti sono degli absolute beginners della vita, che vivono in un mondo da sogno nel quale si muovono goffamente. La voce, al contrario, sarebbe stata quantomeno gradita. Non si capisce, infatti, in alcun modo la candidatura di Gosling a Miglior Attore Protagonista. A mio modestissimo parere, Gosling dovrebbe solo guidare.
Candidatura sicura per le musiche e le canzoni. Non memorabili, ma molto belle, soprattutto quelle esclusivamente strumentali. La candidatura che stupisce di più, però, è sicuramente quella per la Miglior Sceneggiatura Originale (in cui ricadono anche quelle bombe che sono Hell or High Water e The Lobster, per dire). La storia è banalotta ed i dialoghi sono piacevoli, senza essere eccezionali. Neppure il finale, che a detta di molti aggiunge quella nota cinica del modernismo, stupisce. Il cinismo finisce con l’accettazione che i compromessi servono a raggiungere gli obbiettivi (che corrisponde all’uscita dall’adolescenza) e che il passato va accettato per quello che è, anche fosse una possibilità mancata, perché ci ha reso quello che siamo. E, come in ogni musical che si rispetti, alla fine tutti vivono felici e contenti.
Voto: 7-
BONUS TRACK: ESCLUSIVA CLIP di Ryan Gosling che impara a suonare il piano!!!!
Solo chi ama follemente il genere musical può capire fino in fondo la bellezza di questo film. E’ davvero un film per sognatori. E chi non sa sognare… beh… peggio per loro.
[…] scatto finale, comunque, si gioca fra tre dei nove contendenti, cioè nello specifico: Arrival, La La Land e Moonlight. Sebbene il musical di Damien Chazelle sia il favorito, Moonlight è forse il migliore […]