Pianura a pedali/2 | Tra le nebbie della Golena del Po
“Tu devi essere matta”, penso, mentre pedalo alla cieca nel mare di nebbia che da settimane inonda testardamente questa pianura. Penso anche che fortunatamente la mia giacca a vento è azzurro fluo e forse qualcuno mi ritroverà se mi perdo o se finisco in un fosso, e non sarebbe esattamente la prima volta.
Mentre pedalo cerco di richiamare alla mente quale sia la strada giusta tra i molteplici bracci della Ciclabile Golena del Po, quella che da Cremona porta fino a Casalmaggiore costeggiando a varie distanze il Grande Fiume, già rientrato nel letto dopo aver dato spettacolo con la piena di fine novembre.
Passati i primi chilometri, ora deserti ma solitamente frequentati da ciclisti in abiti molto più tecnici dei miei e runner dalla tenacia invidiabile, precipito in un mondo solitario in cui i dislivelli degli argini, i loro colori oggi fin troppo ovattati e la silenziosa presenza della fauna fluviale mostrano una pianura completamente diversa dalla sequenza infinita di campi e cascine che ben conoscono tutti gli abitanti di queste lande desolate. La sensazione, qui in golena, è di essere totalmente persi in una striscia di terra abbandonata tra la provincia e il fiume, con l’unica compagnia di qualche solitario rapace appollaiato sugli alberi o sui cartelli stradali.
Attraversando Bosco ex Parmigiano, Gerre de Caprioli e Salice cerco invano un segnale che dimostri che non sono del tutto matta e non mi sono del tutto persa, quand’ecco che, poco prima di Stagno Lombardo, appare finalmente il monumento grigio che mi conferma di essere sulla strada giusta. Non è un cannone, non è un monumento futurista, è una polimeridiana proiettata verso i campi, con tanto di piccola aiuola e panchine per raduni di geografi e astrofili amanti della golena. “Che l’ora ti sia propizia” dice, io guardo il mondo grigio che mi circonda e, con la rassegnazione tipica di chi è nato in novembre, mese della nebbia, risalgo stoicamente in sella.
L’illusione del giovane ciclista 2.0 è che tutto sia semplice e che, chiedendo al telefono o seguendo l’indicazione “Ciclabile Golena del Po”, si arrivi serenamente al fiume. Va detto, invece, che a queste temperature e a questa umidità inumana lo smartphone entra in modalità male di vivere e con un gesto di protesta si spegne; anche i segnali stradali, per quanto frequenti, cambiano spesso nome allo scopo di individuare, sulla ciclabile principale, specifici tratti di interesse storico o naturalistico, ad ogni bivio sorgono quindi dubbi e ripensamenti, se si sta tracciando il percorso si disegnano dei brutti scarabocchi sulle mappe e i tempi di percorrenza si dilatano.
Ora infatti mi trovo sulla ciclopista dei bodri e delle riserve naturali e ad ogni breve mi appaiono questi famosi bodri o budri, bellissimi stagni perfettamente tondi e quasi sempre popolati da uccelli che al primo rumore solcano la superficie dell’acqua volando via veloci. I cartelli spiegano che le piene di Po generano dei “gorghi” all’interno dei quali l’acqua accelera il proprio movimento ed acquisisce una forza tale da scavare il terreno sottostante, una volta che l’ondata di piena abbandona la campagna restano queste cavità da cui sgorga acqua di falda. Incontro nell’ordine il bodrio del Lazzaretto, il bodrio dei Quarti e il bodrio di Santa Margherita (o della Cascina Margherita): tutti questi laghetti sono inseriti nel novero dei monumenti naturali della Regione Lombardia, insieme ad altri particolari luoghi cremonesi come il fontanile di Dovera o i Lagazzi di Piadena, ma queste sono altre gite…
L’ultimo bodrio che incontro, già nella tratta denominata Ciclabile dei Borghi del Casalasco, si chiama “Oasi le Margherite” ed è nei confini comunali di Daniele Po, accedo a questo paese a forte vocazione fluviale della frazione di Sommo con Porto e risalendo l’argine mi dirigo verso la sua piazza dove si trova un bellissimo museo dedicato alla storia preistorica della golena. Si tratta del Museo Paleoantropologico del Po, facilmente individuabile anche nella nebbia grazie al grosso rinoceronte in ferro battuto che campeggia al suo ingresso. All’interno è possibile osservare l’osso frontale di un uomo di Neanderthal, resti di mammut, di cervo megacero e molti altri reperti preistorici trovati nel letto del fiume tra Cremona e Casalmaggiore; di recente apertura è inoltre un’area dedicata di carnivori del fiume: un leopardo, un orso, un lupo e una iena. La cosa più incredibile, oltre al fatto che un tempo girassero leopardi in mezzo a nebbie come questa, è che i ritrovamenti sono spesso fatti da persone qualsiasi che inciampano per sbaglio in un reperto camminando lungo il fiume o da appassionati che dedicano i week end a perlustrare gli spiaggioni di Po come nuovi cercatori d’oro e si presentano la domenica al museo con i secchielli colmi e la speranza di aver trovato qualcosa di antico e unico.
Da lì, poco più di tre chilometri e sono finalmente a Isola Pescaroli, meta di questa dissennata pedalata fuori stagione. Qui mi appare nella sua grigia maestà il fiume, silenzioso e noncurante dei miei affanni corre via verso il Ponte Verdi. Io cerco conforto e calore entrando nel bar L’Attracco, una specie di palafitta sulle acque del Po, meta di anziani e vagabondi dell’una e dell’altra sponda. Faccio due passi, osservo pochi metri più in là il severo edificio che ricorda la bonifica cremonese-mantovana e mi fermo ad osservare un caco ricolmo di frutti che ne addolcisce la facciata. Un ultimo sguardo all’orizzonte e mi cade l’occhio su un monolite, una sorta di dolmen che sorge al centro del campo che divide l’argine dal fiume; scuoto la testa con la solita rassegnazione e penso che la pianura è davvero un mistero insondabile.
Risalgo in sella e torno a casa nella nebbia.
[…] Dopo mesi di nebbia e gelo è finalmente marzo, con un sole come questo io non posso che salire su una bicicletta recuperata nella cantina della nonna a Vescovato e, con grande sprezzo del pericolo, avviarmi verso il paese confinante, Pescarolo. I campanilismi, come si sa, non hanno alcuna ragione di esistere. Infatti la conflittualità tra vescovatini e pescarolesi affonda le sue radici nella notte dei tempi e ancora oggi noi la perpetuiamo ciecamente senza tante domande, come una verità rivelata. […]