Dopo tutto questo tempo | Harry Potter: A History of Magic

Dopo tutto questo tempo | Harry Potter: A History of Magic

“Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira,” scriveva J. D. Salinger nel suo immortale Giovane Holden. È la stessa, pungente sensazione di impalpabile comunione che scorre nelle vene quando, varcate le porte di una British Library quasi anonima, ti addentri nella penombra della nuova temporary exhibition. Harry Potter: A History of Magic.

20 anni dopo la travagliata pubblicazione di quello che poteva essere solo un libro per bambini come tanti, ma che ha preferito essere il riferimento culturale di un’intera generazione, la biblioteca nazionale inglese non poteva che festeggiare quel bambino dai penetranti occhi verdi e la piccola cicatrice a forma di fulmine.

Poteva farlo finanziando una mini-serie in collaborazione con netflix su Hogwarts ai tempi dei Malandrini. Potevano chiedere a Benedict Cumberbatch di leggere con quella sua voce che ormai è patrimonio nazionale Harry Potter e la Pietra Filosofale. Potevano chiedere in ginocchio a J. K. Rowling di rimuovere quella cosa confusionaria e spaventosa che è Harry Potter and The Cursed Child dalla faccia della terra.

Hanno deciso, invece, di portare i fortunati visitatori che sono riusciti ad accaparrarsi un biglietto tra le intere giornate di sold out in un viaggio nel tempo e nello spazio all’interno di un mondo magico antichissimo – rispecchiato, certo, nell’universo immaginato dalla Rowling ormai vent’anni fa (quanto vecchi siamo? parliamone), ma forse più esteso di quanto moltissimi si aspetterebbero.

La stanza dedicata a Difesa Contro Le Arti Oscure
Fonte: REUTERS/Mary Turner

In un percorso tematico e minuziosamente ricostruito a rendere perfettamente l’atmosfera di mistero ed emozione che suscita la scoperta, per la prima volta, di Hogwarts in un babbano qualunque, Harry Potter: A History of Magic decide di raccontare, allora, migliaia di anni di incantesimi, strane creature e superstizioni dividendole…per materia. Nella stanza dedicata a Pozioni, un cerchio sinistro di calderoni sospesi per aria fanno ombra ad un luminoso ritratto ad olio di Severus Piton, proveniente dalla collezione privata di Jim Kay – l’artista dietro alle illustrazioni che hanno accompagnato per anni le edizioni Bloomsbury della saga. Lungo i muri, dietro alle teche, scorrono aperti alle pagine più importanti decine di libri e rotoli di pergamena colmi di ricette per filtri magici. In un angolo, dei piccoli calderoni interattivi permettono di seguire le ricette più famose per ricreare pozioni d’amore, di bellezza…di morte…

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Se nella stanza dedicata ad Erbologia possiamo ammirare stupefatti un’autentica radice di mandragola ed ascoltare Stephen Fry raccontare piccole storie su Madama Sprite attraverso dei vasi di coccio che si rivelano essere altoparlanti, in quella di Alchimia si circumnaviga uno degli artefatti magici esistenti più famosi ed affascinanti: il Ripley Scroll, lunghissimo rotolo di pergamena fittamente ricoperto di indicazioni simboliche e criptiche che, se seguite, dovrebbero portare alla creazione della Pietra Filosofale. Poco più in là giace la tomba di Nicholas Flamel.

Un dettaglio del Ripley Scroll.

Ciò che riscalda, però, il cuore di ogni bambino ormai cresciuto che si sia almeno una volta visto riflettere nel tormento adolescenziale di Harry, le insicurezze di Ron, l’intelligenza sfacciata e talvolta fastidiosa di Hermione sono i tesori che provengono dalla collezione privata della vecchia, cara J. K. in persona.

I fogli strappati da un quaderno qualsiasi e colmi fino all’orlo di scarabocchi, appunti e cancellature che si sarebbero eventualmente trasformati in una delle storie più potenti dei primi anni 2000. Liste su liste di possibili nomi, incantesimi e citazioni, dettagli ed asterischi che a chiunque abbia mai provato a cimentarsi con la scrittura risulteranno teneramente familiari. E poi, i primi capitoli sui Dursley e la cameretta nel sottoscala, le parole cancellate e mai pubblicate, i commenti degli editori, la sensazione che l’autore sia veramente tuo amico e il desiderio di chiamare Joanne e chiederle come sta. La prima edizione di un libro che sarebbe diventato leggenda e poi, una ad una, le traduzioni in una miriade di lingue. Allo stesso tempo, un trofeo ampiamente meritato dopo anni di sudore ed insicurezze per una storia che meritava, sì, di vedere la luce – ma anche un piccolo faro di speranza per chi non crede di potercela fare, a finire quel manoscritto che tiene nel cassetto.

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Da Harry Potter: A History of Magic ci esci un po’ con un groppo in gola per il tempo che passa e ti trovi davanti la citazione che sai che la piccola bambina di dieci anni che con la torcia, sotto le coperte, ben oltre il coprifuoco, divorava “solo un altro capitolo” avrebbe continuato ad amare anche anni ed anni dopo.

“Because that’s what Hermione does,” said Ron, shrugging.
“When in doubt, go to a library.”

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