Oxford è l’Inghilterra intera racchiusa in una sola città

Oxford è l’Inghilterra intera racchiusa in una sola città

“I wonder anybody does anything at Oxford but dream and remember”.

– William Butler Yeats

Quella del mio amore sterminato ed irrazionale per l’Inghilterra è una storia che si racconterebbe al meglio davanti ad un tè caldo in un sonnolento pomeriggio d’inverno, riscaldandosi le mani sul tepore di una tazza, nascondendo il naso in un maglione.

Ma che ne sa lo skyline di Londra?

È una storia che comincia con una bambina secchiona ad una scuola inglese in Italia e la sua insana passione per i fantasy. Passa per infinite notti spese con una torcia sotto alle coperte a sfogliare capitolo dopo capitolo, sognando le avventure di ragazzi non molto più grandi di lei che scoprivano man mano la magia. Sullo sfondo, binari nascosti nel cuore di Londra, Ford Anglia che sfrecciano in aria sopra ad infinite campagne,  castelli, foreste proibite, case pericolanti sperdute lì, da qualche parte sulla mappa, a nord-ovest. Lontano soltanto qualche centimetro, sul foglio. E poi, è una storia di voli pindarici, di autori e poeti che affollavano una biblioteca in costante aumento, di tragedie e commedie stracolme di doppisensi ed emozione.  L’Inghilterra non poteva che sembrare la patria di tutto ciò che era mistero ed eleganza. Un posto dove essere strani, magari, senza che nessuno te ne facesse una colpa.

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Così, anni ed anni dopo, uscita dalla cameretta e spenta la torcia, oltrepassata con una giusta quantità di tormento l’adolescenza ed abbracciata l’università con tutto l’entusiasmo di chi non ha la minima idea di quel che sta facendo, il primo viaggio inglese al di fuori di quel mostro fiero e caotico che è Londra non poteva che rappresentare un ritorno ad un amore d’infanzia mai sopito e sempre coltivato tra una puntata di Sherlock e una di Doctor Who – ed infiniti anni passati, ogni settembre, ad attendere un gufo che non arrivava mai. “Oxford” dice il biglietto di un piccolo aereo in partenza in una pungente giornata di ottobre. La scusa, stavolta, è quella di una simulazione delle Nazioni Unite. I pianeti si allineano nella mia testa. Perché forse l’Inghilterra non è soltanto Oxford, ma Oxford è decisamente l’Inghilterra intera rinchiusa in una sola città.

Ditemi se questo posto non urla “INGHILTERRA”.

Niente – niente, nè anni di Radiohead mormorati come un mantra nè dosi di Wilde sparate direttamente in endovena – prepara a quanto incredibilmente inglese è questa città. A camminarci piano, sotto ad un cielo plumbeo e già invernale,  cercando di resistere la tentazione di googlare il Primark più vicino e rinchiudersi lì dentro fino all’arrivo della primavera, si scopre inavvertitamente quella miriade di cunicoli e stradine di ciottoli che sono l’orgoglio di ogni antica città medievale che si rispetti. Sul retro di una chiesa dall’aria abbandonata che dà sulla via più commerciale del centro, un piccolo cortile ospita un albero spoglio e ricurvo che dice subito hallowe’en. Qui e là, un negozietto spiecalizzato in tè, tisane e biscotti o un temporary shop colmo di abiti vintage dal taglio squisitamente british ti invitano a pignorare anche la tua casa d’infanzia pur di permetterti tutto ciò che desideri.  A puntare dritte al cuore sono loro, però. Le librerie.

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La Biblioteca Bodleiana.

Provare a spiegare quando Oxford sia sinonimo di letteratura sarebbe a cavallo tra un tremendo clichè e uno spreco di tempo: culla della più antica università anglosassone al mondo, ha visto sfilare Aldous Huxley,  John Donne e Shelley. Tolkien e Lewis litigavano e si rappacificavano davanti ad una birra tra il Lamb&Flag ed l’Eagle&Child. Philip Pullman immaginava Queste Oscure Materie tra una lezione e l’altra. La bambina che sarebbe rimasta impressa nella storia della letteratura come Alice nel Paese delle Meraviglie scorrazzava tra i cortili dei vari college. Tra le mura della Biblioteca Bodleiana – anno di fondazione, 1602 – per legge si costudisce almeno una copia di ogni libro mai pubblicato in Inghilterra…e si riconoscono gli scaffali della biblioteca di Hogwarts che Hermione spulciava per salvare, come sempre, la situazione. È qui che quella bambina secchiona si risveglia e si emoziona al solo pensiero di trovarsi sotto allo stesso tetto che costudisce una delle rarissime copie della Bibbia di Gutemberg, ed un First Folio di Shakesperare. Ed è tra una delle centinaia di librerie – indipendenti o legate a doppio filo con l’university press, enormi o minuscole e strabordanti di storia, piene di piccole perle usate o dall’inebriante profumo di copia appena stampata – che abbandono per sempre la speranza di rientrare nel limite di kg che RyanAir consente per il bagalio a mano.

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Il cuore, invece, riposa per sempre sulla soglia della Radcliffe Camera, il solenne edificio neoclassico simbolo della città che ospita una delle biblioteche più belle del mondo…e che è accessibile soltanto ai fortunati detentori di una rara tessera bibliotecaria. Leggenda narra che il nome del vicino Ponte dei Sospiri, che collega senza apparente motivo due edifici a mezz’aria a pochi passi dal maestoso Sheldonian Theater, venga dalle lacrime versate da ogni bibliofilo deluso che scopre di non potersi addentrare tra le sue mura.

Mi sentite sospirare?

Ci si potrà sempre rincuorare, però, con le piccole cose che rimangono incastonate nel cuore. Il posare distrattamente un piede su un mucchio di foglie umide e rossicce. I poster che annunciano la riapertura di una stagione teatrale per la quale varrebbe la pena trasferirsi per sempre. Lo stile intramontabile di un’universitaria uscita direttamente dall’immaginario della studentessa inglese, con il suo maglioncino, la gonna piegata con grazia, le scarpe lucide e coordinate. Riconoscere la Sala Grande nella Christ Church. Trovarsi per caso tra i profumi del Covered Market. File di studenti indaffarati in camicia che si godono il sole pallido nella pausa tra una lezione e l’altra. Le pinte forse un po’ troppo costose – ma che sanno, anche loro, di Inghilterra.

La malinconia di lasciare la città all’alba. Fino alla prossima volta in cui si inciamperà ancora, con un sorriso sul viso, su Oxford.

Non mi puoi fuggire per sempre, Radcliffe Camera.

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